sabato 18 giugno 2016

Tappa Cinque: da Terracina a Fondi

17 giugno 2016

 
Muoviamo i primi passi risalendo le viuzze di Terracina: odore di caffè nella moka di una città al suo risveglio. La giornata risplende, i nostri piedi hanno voglia di andare, dopo una tappa a ondeggiare. Siamo serene, specialmente quando, passando vicino al vecchio ospedale di S. Francesco, ci appare il mare con le isole Pontine sull'orizzonte. Ci inerpichiamo ancora più su, fino a che non restano quasi solo pini marittimi e pietre; teniamo l'Appia anche quando l'asfalto si sgretola, le case finiscono, anche quando un cartello ci indica che il sentiero è pericoloso e l'accesso vietato.
Il basolato di tanto in tanto riemerge, inutile provare a sotterrarlo col catrame: come la Storia, ritorna.

 
C'è un'energia particolare a cui non si può resistere, una tendenza al benessere e alla calma. Di solito vanno cercati e riconosciuti: "sono felice", Giulia rompe il silenzio. Qui le piccole cose rendono tutto più semplice.
Il sentiero per un attimo si apre su una grande pietra a strapiombo e il panorama compensa la vertigine dell'altezza. Analizziamo scientificamente la capacità del mare di far sentire la sua mancanza e siamo fermamente convinte che sia tutto un problema di prospettiva, che lui, il mare, sembra sempre che tu lo possa toccare. Non contano le distanze. 
Raggiungiamo un gruppo di case dove la strada termina senza preavviso, ci viene il dubbio che prosegua oltre un cancello in fil di ferro: lo apriamo e una giungla impervia ci graffia le gambe, fili di erba appiccicosa si agganciano ai nostri vestiti, le calze. Lo sopportiamo solo grazie al profumo agrumato di certi piccoli fiori bianchi, a quello balsamico del finocchietto, all'origano che si nasconde tra le pietre. Quando la strada si fa impenetrabile intravediamo l'asfalto. 

 
Prima di percorrere la lunga discesa che ci farà tornare nella tana del nemico (l'Appia Nuova), ci fermiamo sotto la "piramide di Cheope a testa in giù". È un'enorme cava che si mangia la montagna da dentro. Noi la sdrammatizziamo con la nostra leggerezza, perché è di questo che abbiamo bisogno prima dei prossimi chilometri tra lo sfrecciare delle auto.

 
Chiedo a Clara se vuole che ritiri il libro, la nostra guida, ma lei lo tiene stretto come un bastone il pellegrino. Come la coperta di Linus. Dopo un tempo che a noi pare eterno, la deviazione: ringraziamo il pullulare di vie francigene.
Un contadino guarda le sue bufale a bordo strada. È gentile con noi, ci fa molte domande sul nostro andare. Proviamo a spiegarci nel modo più semplice, ma questo viaggio è ancora troppo inconcepibile, anche per chi sull'Appia ci vive. Ci accompagna a riempire le borracce e mentre ci allontaniamo risuona la sua voce: "Mari', sto qua, ho dato l'acqua a due bambine".

 
Poco più avanti seguiamo il consiglio della nostra guida concedendoci un pediluvio alla sorgente, vicino a Monte S. Biagio. Ripartiamo rigenerate, costeggiando tutta la ferrovia. 
Ci accorgiamo che oltre al paesaggio anche il "contesto" sta cambiando. Le zone lontane dai centri la dicono lunga sul DNA verace di un luogo, lì dove non arrivano i negozi tutti uguali, dove si concentrano autoctoni e immigrati, entrambi in fuga.

 
È Luca a suggerirci di passare per il centro di Fondi: dopo una rotonda davvero microscopica entriamo nella zona pedonale. Camminiamo con passo leggero, lento, godendoci tutta la pietra che c'è, nel silenzio delle due di pomeriggio. Sembra tutto ben curato: prati inglesi, lampioni a led, un palazzo comunale anche troppo grande per una cittadina di trentamila abitanti.
Dopo cinque giorni di viaggio, Luca ci offre una lavatrice. E la frutta, che desideriamo da ore. Abita con la mamma Elvira, che subito si prende cura di noi. Presto arriva anche Marianna, la ragazza di Luca. Qui le nostre strade si dividono: Clara va con i ragazzi a Sperlonga, Giulia resta a casa a riposare il ginocchio gigio.

Giulia
Elvira va a prendere il ghiaccio da sua sorella. Resto un po' tranquilla, poi non resisto alla curiosità di conoscere più a fondo questa donna-specchio: anche lei ama circondarsi di colori brillanti e dare nuova forma e funzione alle cose. Sa il fatto suo, Elvira, non ha spazio per i convenevoli, va dritta al cuore delle cose, alla loro concretezza. Per ogni viaggio che fa si porta a casa un quadro: me li racconta uno ad uno e anche a me sembra di vederli muoversi. Mi colpisce quello rosso, coi fiori piegati da un vento di fuoco. Elvira è come loro: si piega ma non si spezza.
"Qualunque sia la tua passione, fallo. E non fermarti ai primi risultati, ogni volta vai avanti di un pezzetto: impara che questo così non ti serve più, che quest'altro lo proverai a fare diversamente. Solo con la pratica qualcosa continuerà a muoversi e quello che prima sembrava impossibile a un certo punto diventerà semplice".

Maria Clara
Salgo in macchina e mi siedo dietro, nel centro. Per i primi trenta secondi mi sento goffa, spiazzata, mi sembrano passati mesi dall'ultimo viaggio su quattro ruote, cerco la cintura di sicurezza, che noi, in Polentonia, si fa così.
Sperlonga è una bomboniera bianca confezionata per gli invitati accorsi alla festa. Senza turisti, mi raccontano, è una città fantasma. In un attimo la immagino deserta, coccolata dal Maestrale di novembre, con il mare grigio a sbattere sulla battigia. Certi paesini te li figuri tristi e invece sono soltanto malinconici e quindi ancora più belli. Con Luca si parla, soprattutto di viaggio, di quella sensazione che ti prende la pancia un bel pomeriggio e ti fa stare inquieto, della forza antigravitazionale dell'andare, che spinge le radici a toccare le nuvole. Luca di cose ne ha viste parecchie e soprattutto ha vissuto così tante vite che non riesce a comprendere quelli a cui basta la propria. Marianna ci ascolta paziente e curiosa, come fanno i Cancro con noi dello Scorpione. Ha viaggiato poco finora, ma a casa la aspetta un biglietto per Londra il primo di luglio. Lei va, lui resta. Prima di tornare, ci perdiamo un po' per le stradine sali e scendi del paese, fino ad andare a sbattere contro un tramonto coi colori fuori posto, stonato. Mentre Luca mi parla, le nubi corrono via veloci. Hanno ancora troppi posti da vedere prima di disciogliersi.

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