domenica 26 giugno 2016

Tappa Dodici: da Montesarchio a Benevento

23 giugno 2016


Grazie a Massimo possiamo concederci la colazione a letto: iniziamo la giornata con il morale alto. Oggi arriveremo a Benevento, città spartiacque del nostro cammino. È una tappa quasi tutta di Appia Nuova, ma è il primo giorno di cammino senza ginocchiera per Giulia e un po' ci sentiamo di sussurrare vittoria.
Ci lasciamo guidare, obbedienti e sognanti, dalle parole di Riccardo. Ci piace molto di più leggerle sul libro, consultiamo la mappa solo quando il rischio di perderci inizia a farsi cosa reale, altrimenti ci lasciamo cullare dalle indicazioni che hanno anche una loro preziosa sonorità, mai perentoria, ma assomigliano piuttosto al gesto dimenticato della carezza.

 
Per qualche metro fa capolino il basolato borbonico: gioiamo del fatto che anche Arturo possa calpestarlo a vista. Arriviamo al confine tra Regno di Napoli e Ducato di Benevento: il nostro epitaffio è il sole delle dieci, che è già bollore. Benvenuti al Sud.
Il caffè ci dà un secondo buongiorno. Il barista ha ricci di fumo argenteo in testa e occhi azzurro chiaro, ipnotici: si illuminano tutti alla notizia del nostro tragitto. Ha un corpo segnato dal suo lavoro, restiamo incantate a osservare con quale destrezza le sue spalle larghe compiono tracciati rapidi ed efficaci. Per un attimo sembra di osservare Vishnu di schiena. Ma poi si gira e ci serve tre tazzine fumanti.
Poi è ancora sole, clacson, sguardi bassi e voci che il traffico si porta via. Il tracciato ci grazia con alcune deviazioni, piccole oasi di cui apprezziamo il silenzio, gli istanti d'ombra, la libertà del passo.

 
Mentre la testa evapora, alla nostra destra si apre un campo di grano e papaveri, che porta con sé tutto il richiamo dell'estate. Poi davanti a noi si spalanca il ponte Leproso, che ci dà il benvenuto a Benevento. Entriamo nella città dalla parte Est e siamo subito immersi nell'archeologia fino alle orecchie. Non solo quella romana dell'anfiteatro o dell'arco di Traiano, ma anche quella che racconta la Storia dall'Egitto al fascismo, passando per la statua "postmoderna" di Padre Pio all'ongresso Nord della città.

 
Come direbbe Paolo Rumiz, è l'ora media, quella senza ombra. In un supermercato ci facciamo preparare un panino e andiamo a cercare un bivacco metropolitano. Dove noi troviamo un angolo di ombra, una fontana con i leoni, il museo del Sannio, l'Unesco ci vede un bene da salvaguardare. 
Passate le due, ci viene a prendere Manuela, dormiremo da lei questa notte. Manuela è la chiusa di un fiume, discreta, delicata, è una donna traboccante di attenzioni per gli altri e che ama raccontarsi, aspetta solo un cenno per aprirsi. Sento subito un'affinità con questa donna forte e fragile, dedita ai più diversi interessi, ma allo stesso tempo fedelissima a una cosa sola: la famiglia. Grazie a lei i nostri vestiti tornano a profumare di bucato.
Sotto sera ci vengono a prendere Adolfo e Teresa, che seguono la nostra viandanza dall'anno scorso. Diventano le nostre guide per le vie del centro, che stasera celebra il suo passato longobardo: dentro la chiesa di Santa Sofia risuona una lira, in una piazza si tira con l'arco, mentre il cielo di un blu lucente esalta il bianco dei palazzi e l'arancio dei vicoletti.

 
A cena gustiamo la "vera" pizza, mentre i loro occhi chiari si accendono nel raccontarci i sentieri che loro percorrono di corsa.
"C'è quello che scopre e traccia una nuova strada, poi c'è chi quella strada la percorre per la prima volta, che dice 'sì, si può fare'. E voi a tutti gli effetti lo state facendo, state aprendo questa Via".
Ci arriva un brivido a questo pensiero, in fondo, stiamo solo camminando.

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