mercoledì 29 giugno 2016

Tappa Quindici: da Borgo Le Taverne a Bisaccia

27 giugno 2016

 
Da quando Arturo è partito, la sveglia suona un'ora prima, 5:00. Ci spaventa il caldo di luglio e le albe, quando si cammina, non si possono nemmeno raccontare - nebbie di nuvole basse veloci, i colori tenui dell'aurora che preparano il cielo all'arrivo del Sole, le ombre lunghe lunghe. Apriamo la finestra del balcone: una mezza luna limpida di fronte e tutt'intorno un vociare da mercato di uccellini ci danno il buongiorno.
Raggiungiamo, dopo quasi un'ora di foschia bianca da Bassa a novembre, "Il Cacciatore": ci accoglie una coppia anziana e un profumo di croissant quasi pronti. Lui, tazza di latte e pane inzuppato, ci saluta dicendo che per noi avrebbe riaperto le stanze dell'albergo ormai chiuso da tempo. "Le brave persone si riconoscono subito. Buon viaggio, ogni tanto fermatevi. Non accettate passaggi e quando arrivate a Brindisi brindate!".

 
Ci immettiamo su una strada sterrata che dovrebbe essere tratturo, sono tracciati che conosciamo bene e su cui ci sentiamo a nostro agio perché sappiamo che, quando si interrompono, è solo per riprendere la corsa un po' più in là. Ci segue, abbaiando furiosamente, un piccolo cane - brutto - che sembra avercela proprio con noi. Quasi ci innervosiamo, fino a quando notiamo due cani di taglia grossa che a ogni latrato indietreggiano un po': il cagnolino brutto ci sta aprendo la strada e ci scorta fino ai confini del suo territorio. Poi sono solo campi, colline e pale eoliche su tutti gli orizzonti. Nelle nuvole basse sembrano apparizioni dantesche, mostri o divinità che le fanno a fette, quelle nuvole. 

 
Quand'è così, grigio, noi cantiamo. Il repertorio classico degli alpini a due voci è tra i nostri preferiti. Insieme a Cristina D'Avena.
"Su pei monti, su pei monti che noi saremo, coglieremo... uh, dieci euro!". Dovevamo prelevare ma la strada ci ha anticipate. Ci regala anche nuvole e vento fresco che trasforma il grano in un coro gospel e noi in direttori d'orchestra.
Una pioggerella alle porte di Bisaccia. Bisaccia sono due, quella pre e quella post sisma, anche se la più recente si è guadagnata il nome di Piano Regolatore, per la dovizia e l'estetica della sua architettura. Siamo arrivate presto stamattina, prendiamo la giornata con calma.
Michele ci passa a prendere alle due. È un uomo con i baffi scuri e gli occhi un po' all'ingiù. Ha una passione dirompente per la storia della sua terra e per l'archeologia. Ci conduce sulla cima del Toppa, che noi abbiamo lambito da Sud. "È l'unico punto dell'Appennino senza vegetazione, un dato fondamentale se si pensa che ci si spostava solo a cavallo". Michele è convinto che l'Appia, la nostra Appia, passasse proprio di lì e lì incrociasse un'altra via che metteva in comunicazione Adriatico e Tirreno. Ha una volontà ostinata a muoversi fuori dalle rotte già tracciate, anche se sembra più interessato alla nostra espressione che alle nostre risposte.
Ma noi siamo camminatrici, esploriamo territori a piedi per assaporarli a fondo così come sono, poco ci importa dell'archeologia quando diventa cavilli, ipotesi inverificabili, luoghi comuni.

 
Ci accompagna poi al museo archeologico "un'eccellenza sannita tutta al femminile" e il castello di Federico II. È un luogo intatto, stupendo, col suo loggiato che guarda tutta la valle e i suoi giganti.
A cena siamo da Donato, si parla di cammini. Ad agosto guiderà un gruppo sulla francigena da Canterbury a Roma, lo capiamo quel luccicore negli occhi, quell'impercettibile movimento dell'angolo della bocca che si alza e, senza volerlo, sorride.
Andiamo a dormire pensando che Bisaccia sia la divisione degli opposti: la Vecchia sta ben separata dalla Nuova, il femminile dal maschile, i Sanniti dai Romani, l'Appia dalla sua perpendicolare. Pensiamo che anche noi siamo due opposti e che solo in questo diventiamo uno, più pieno.


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