martedì 5 luglio 2016

Tappa Ventuno: da Masseria Tripputi a Gravina in Puglia

3 luglio 2016

Domenica mattina, in Italia. Alle sei Enzo ci carica in macchina e ci accompagna alla diga del Basentello, da dove riprenderemo il cammino con una vaga impressione di frescura nell'aria. Ci incamminiamo sulla vecchia provinciale, una salita morbida lunga sei chilometri, lasciandoci l'acqua alle spalle. Avremmo voluto godercelo di più ma questo viaggio ha la tensione dell'andare nel suo stesso nome: Appia è una strada, non un luogo.
Raggiunto il crinale, il sentiero si srotola come un tappeto verso le Murge dell'Apulia. Da qui tutto cambia in un istante: i campi riprendono il loro colore pot pourri, l'accento è diventato un verace pugliese con le a che si trasformano in e. Anche il pastore che incontriamo mischia la sua provenienza tunisina con questa lingua speziata. La sua pelle ha il colore dell'argilla umida e mentre ci incalza di domande, incuriosito dal nostro andare, le sue capre ci tagliano la strada.

 
Camminare, oggi, aiuta i buoni propositi, è un setaccio a maglie strette che pulisce dalle sozzure di ciò che non serve. Le prendiamo a calci nei ciottoli che incontrano i nostri piedi e poco a poco il sentiero inizia a ripulirsi. 
La città la vediamo che sembra un cuneo incassato tra le montagne, ma ormai abbiamo imparato che bisogna avere pazienza. Prima di arrivare, l'Appia deve farsi sentiero nei campi, terrapieno, terra appena arata. Un gruppo di macchine strette in cerchio attorno ai loro proprietari ci fanno pensare di essere finite nel posto sbagliato al momento sbagliato; ancora una volta il nostro passaggio crea interesse e un'ilare incredulità facile da scansare con un'occhiata attenta alle nostre spalle cotte dal sole, ai nostri zaini strappati, alle facce stravolte.

 
Costeggiamo un uliveto per raggiungere un sottopassaggio che ci eviti gli svincoli della provinciale, ma il "padrone di casa", con la sua pancia contadina, non ne vuole sapere di farci passare, così ci perdiamo un tratto di strada ricavato nel tufo ed entriamo a Gravina per il sentiero che affianca il cimitero. Un passaggio insolito di terra bruciata, rifiuti mutilati, chiocciole ammassate su pochi rami secchi come se durante quell'incendio avessero imparato a correre.

 
Arriviamo in piazza Sant'Agostino, una lingua di alberi tagliati a cubetto e una fontana presa d'assalto. Ci vengono a prendere Michele e Franca, genitori acquisiti, perché quando un'amica è molto amica, i suoi genitori diventano anche i tuoi. Hanno una casa bellissima, ogni stanza ha le pareti di un colore diverso che, in accordo con gli altri, è ripreso dai dettagli di mobili, quadri, oggetti, scelti con un gusto originale. Dopo aver fatto una doccia e avviato una lavatrice (!) è il momento dell'aperitivo di caciotta fresca appesa a testa in giù sul lavandino. A pranzo siamo con la famiglia di Franca, "siamo pochi oggi, solo quattordici". Qui al Sud si fa così, senza preavviso né convenevoli. 
C'è tempo per fare due passi nel centro storico, immersi nel silenzio immobile della controra. Giulia resta affascinata dagli scheletri della chiesa del Purgatorio, Clara dalla cattedrale, entrambe si innamorano della gravina: "i sassi di Matera iniziano da qui, solo che li hanno conservati meglio".

 
Apprendiamo le regole fondamentali del pranzo domenicale pugliese:
- quando il piatto arriva, iniziare a mangiare.
- parlare a voce alta equivale a dichiarare l'importanza del proprio pensiero: più si sovrastano gli altri, più si sancisce la validità delle proprie parole.
- parlare di politica eleva i decibel. E gli animi.
"Ma non vi preoccupate, non è che facciamo sempre così. Non litighiamo per davvero. Prima avevamo un nemico comune, adesso con Renzi e i Cinque Stelle si sono divise le opinioni".

Nel pomeriggio passa a prenderci Alessandro, stasera siamo ospiti-ostaggi di due presentazioni del film. Ripercorriamo a ritroso la strada degli ultimi due giorni, ma in meno di un'ora siamo a destinazione. È un modo particolare di tornare sui nostri passi, ci sembra di riscrivere questa strada. È come vedersi da più lontano, immaginarci due puntini che, spostandosi su quella linea retta, la rendono reale. Pensa quanti puntini se tutti iniziassimo a camminare, il sistema impazzirebbe.
A Palazzo San Gervasio ci accolgono alla pinacoteca, un affascinante labirinto di intonaco color crema. All'ingresso troviamo una di quelle sorprese che solo la strada (e una buona amica) portano con sé: Arturo è tornato. Ancora chilometri insieme, ancora annusarsi, ancora condividere.
Ci spostiamo poi a Venosa: sono passati solo due giorni ma sembrano settimane. Ci arriviamo in macchina ma per coerenza parcheggiamo fuori dal centro, vicino agli scavi archeologici. Ritroviamo il convento di San Domenico apparecchiato a festa col suo vestito più bello, tante le persone che si sono adoperate da stamattina. Ritroviamo anche le belle facce che ormai conosciamo: Nicola, Luigi, Enzo, Rocco, poi arrivano anche Don Giuseppe, Anna, Serena e la piccola Velia. Far parte di qualcosa di più grande, qualcosa che unisce e crea identità. Ecco cos'è questa sera il cammino dell'Appia Antica.

 

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